abilitazione sostegno estero, abilitazione estero, abilitazione sostegno
In attesa del BANDO TFA SOSTEGNO VII CICLO 2023 – nuovo tfa sostegno, molti docenti ci scrivono per sapere se è valida l’abilitazione presa all’estero o in altri paesi della comunità europea. Proviamo a rispondere ad un argomento molto discusso e controverso, con i dati più recenti, anche alla luce delle nuove considerazioni del Ministero dopo che negli ultimi anni erano stati esclusi i titoli esteri. “Valditara tutti dentro estero, italiani fuori”, si leggeva in questi giorni.
L’allarme è stata lanciato da un sindacato come la CGIL che non vende abilitazioni estere e che scrive. “Avanti tutta del Ministro del Merito con i titoli di abilitazione e specializzazione presi all’estero: abilitati e specializzati in Italia rischiano di essere scavalcati da chi ha titoli ancora non riconosciuti”, ma molti sindacalisti sono essi stessi agenzie di vendita. Ma il Ministro ha poi detto tutt’altro.
Sono, infatti, decine le università estere che promuovono percorsi abilitanti molto convenienti rispetto a quelli delle università italiane; è altrettanto vero che “i percorsi di formazione abilitanti sono nella realtà totalmente differenti e spesso fittizi” (come scrivono anche i siti specializzati QUI ⇒ citiamo testualmente dall’articolo di Scuola Blog).
Nelle specifico si tratta di candidati che hanno conseguito i titoli post universitari di sostegno in Romania ed a Cipro. L’esclusione viene motivata con la mancanza dell’istanza di riconoscimento, come hanno confermato anche gli esperti di Obbiettivo Scuola.
L’O.M. 60/2020 prevedeva infatti che:
Qualora il titolo di accesso sia stato conseguito all’estero e riconosciuto dal Ministero, devono essere altresì indicati gli estremi del provvedimento di riconoscimento del titolo medesimo; qualora il titolo di accesso sia stato conseguito all’estero, ma sia ancora sprovvisto del riconoscimento richiesto in Italia ai sensi della normativa vigente, occorre dichiarare di aver presentato la relativa domanda alla Direzione generale competente entro il termine per la presentazione dell’istanza di inserimento per poter essere iscritti con riserva di riconoscimento del titolo”.
Le principali incongruenze riguardano nello specifico le modalità di accesso, la durata, i contenuti, il tirocinio formativo e la spendibilità del titolo. In Italia, al fine di accedere, per esempio, al TFA Sostegno, i docenti sono tenuti a possedere una laurea magistrale, unitamente ai 24 CFU, e ad affrontare un concorso altamente selettivo costituito da una preselettiva, una prova scritta e una prova orale.
Durissima l’analisi di Dorotea Salerno del Movimento nazionale docenti specializzati e specializzandi sul sostegno [di cui riportiamo una sintesi].
“Dalla pubblicazione delle graduatorie provinciali, negli ultimi giorni, emerge un dato considerevole rappresentato dal crescente aumento del numero di candidati abilitati all’estero e inseriti con riserva nei relativi elenchi di I fascia, con percentuali elevatissime soprattutto in province meno estese. Si segnala a esempio che, nelle GPS di Trapani e di Reggio Calabria, un docente di sostegno su due ha acquisito il titolo di specializzazione in Spagna o in Romania. I numeri risultano piuttosto allarmanti in quanto è noto a molti, ormai da decenni, che sebbene il manifesto di alcune università straniere riporti una quantità di crediti analoga – e quindi potenzialmente equipollente – rispetto a quella delle università italiane, è altrettanto vero che i percorsi di formazione abilitanti sono nella realtà totalmente differenti e spesso fittizi” – scrive la Salerno.
Le principali incongruenze riguardano nello specifico le modalità di accesso, la durata, i contenuti, il tirocinio formativo e la spendibilità del titolo. In Italia per accedere al Corso di Specializzazione sul Sostegno Didattico, i docenti sono tenuti a possedere una laurea magistrale, unitamente ai 24 CFU, e ad affrontare un concorso altamente selettivo costituito da una preselettiva, una prova scritta e una orale mentre in Romania, l’accesso ai master abilitanti è libero e probabilmente questo rappresenta uno dei principali punti che attrae i furbetti della formazione a ripiegare sulla via più facile da seguire.
In secondo luogo, il percorso specializzante in Italia ha la durata di un anno e prevede la frequenza obbligatoria – senza possibilità di assentarsi neppure in minima percentuale (pena l’esclusione) – a 288 ore di insegnamenti teorici, 180 di laboratori, 225 di tirocinio (diretto e indiretto) e 75 di attività pratica sull’utilizzo delle nuove tecnologie (TIC), applicate alla didattica speciale” – dice sempre la Salerno.
Preparati ai concorsi scuola con i simulatori digitali di Origine Concorsi
A ciò si aggiungono ventitré esami, un elaborato e una prova finale in uscita che attestino le competenze acquisite.
In Romania, ad esempio, sono sufficienti invece solo quattro settimane di presenza e non è prevista alcuna esperienza sul campo. Infine per quanto concerne la spendibilità, il titolo romeno promette una plurivalenza su più gradi e classi di concorso.
Per cui un soggetto, laureato in giurisprudenza, che ha conseguito un master in Romania, risulterà abilitato non solo sul sostegno (primo e secondo grado) ma anche su materia (su tutte le proprie classi di concorso). Ciò appare alquanto inverosimile e lacunoso sotto il profilo della validità formativa visto che in Italia, lo stesso titolo, oltre a non essere abilitante è una specializzazione valida esclusivamente per il grado conseguito.
Va evidenziato altresì che il sistema scolastico romeno e quello italiano adottano risposte diametralmente opposte in riferimento alla scolarizzazione degli alunni con bisogni educativi speciali. Il primo è infatti un sistema bidirezionale (o duale dissociato) in cui gli alunni con disabilità sono inseriti in classi speciali e separati dagli studenti “normodotati”. Il secondo, quello italiano, è invece un sistema unidirezionale e inclusivo che prospetta, tra i suoi principi fondanti, l’attenzione alle molteplici diversità degli studenti e la promozione di una educazione di qualità per tutti all’interno delle classi comuni.
“Alla luce di una mancata corrispondenza tra i due ordinamenti scolastici, quali strumenti innovativi e metodologie didattiche inclusive può aver acquisito un laureato senza esperienza in Romania, trattandosi di un paese non rivolto all’integrazione e all’inclusione della speciale normalità?” – dice sempre la Salerno.
Titoli che peraltro non sono considerati sufficienti per l’esercizio di insegnante in Romania e, di conseguenza, riteniamo non possano essere fatti valere, a tal fine, nemmeno in territorio italiano – così conclude l’analisi della Salerno.
Prima differenza in Romania sono semplici Master.
In Romania, infatti, l’accesso ai master abilitanti è libero e probabilmente questo rappresenta uno dei principali punti che attrae alcuni docenti a ripiegare sulla via più facile da seguire.
In secondo luogo, il percorso specializzante in Italia ha la durata di un anno e prevede la frequenza obbligatoria delle lezioni e dei laboratori. A ciò si aggiungono esami e una prova finale che attesti le competenze acquisite durante il percorso.
In Romania, al contrario, sono sufficienti invece solo quattro settimane di presenza e non è prevista alcuna esperienza sul campo. Infine, per quanto concerne la spendibilità, il titolo romeno promette una plurivalenza su più gradi e classi di concorso.
Come scrivono gli esperti di Scuola Blog, conseguentemente, “un aspirante docente laureato, che ha conseguito un master in Romania, risulterà abilitato non solo sul sostegno ma anche sulla propria classe di concorso. Ciò appare alquanto inverosimile e pieno di lacune sotto il profilo della validità formativa visto che in Italia, lo stesso titolo, oltre a non essere abilitante, è una specializzazione valida esclusivamente per il grado conseguito” (fonte Scuola Web) .
Va evidenziato altresì che il sistema scolastico romeno e quello italiano adottano approcci completamente diversi alla scolarizzazione degli alunni con bisogni educativi speciali. Il primo è infatti un sistema bidirezionale in cui gli alunni con disabilità sono inseriti in classi speciali e separati dagli studenti “normodotati”. Il secondo, quello italiano, è invece un sistema altamente inclusivo che prospetta, tra i suoi principi fondanti, l’attenzione alle molteplici diversità degli studenti e la promozione di una educazione di qualità per tutti all’interno delle classi comuni.
Il sito scuola-web, si chiede infatti, lasciando pochi dubbi nella risposta “Alla luce di una mancata corrispondenza tra i due ordinamenti scolastici, quali strumenti innovativi e metodologie didattiche inclusive può aver acquisito un laureato senza esperienza in Romania, trattandosi di un paese non rivolto all’integrazione e all’inclusione della speciale normalità?” (fonte esperti e professionisti di Scuola Blog).