Ecco l’intervento dell’ex. Ministro della Pubblica Istruzione, l’on. Lucia Azzolina inviato alla stampa e pubblicato oggi sul Corriere della Sera, all’indomani del Recovery Plan che ha escluso ogni possibile sanatoria per i concorsi scuola.
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L’ on. Azzolina interviene sulla nuova normativa per i concorsi pubblici e sulle sue possibili conseguenze per il mondo della scuola. Una lettera aperta di cui ripubblichiamo alcuni stralci e che è stata pubblicata da uno dei maggiori quotidiani italiani, che ha importanza e rilevanza, essendo il Movimento 5 Stelle il partito di maggioranza relativa del Governo, e lo stesso Ministro Bianchi ha avuto plauso della stessa Ministra Azzolina, dopo che la stessa Azzolina l’aveva chiamato a collaborare al Miur.
Gent. mo Ministro Brunetta,
vorrei sottoporLe alcune considerazioni a proposito degli effetti, sulle prove concorsuali per il settore scuola, della disciplina contenuta nel decreto legge n. 44/2021
Parto da un assunto che credo possa trovare subito ampia condivisione: il futuro della Pubblica Amministrazione – rectius il futuro del Paese – passa dai giovani, i cui studi, la voglia di mettersi in gioco, le capacità, i talenti, sono gli ingredienti fondamentali per un rinnovamento di cui l’Italia ha estremamente bisogno. […]
Dobbiamo «riportare i giovani al centro come protagonisti di una Pa che ha disperato bisogno di essere rinnovata e qualificata». Analoga visione però deve riguardare il comparto scuola. La politica ha la responsabilità e il dovere di ascoltare le ansie e le preoccupazioni di intere generazioni che oggi temono di non poter esser messe nelle condizioni di concorrere, ad «armi pari», per «servire» il proprio Paese lavorando nella PA. Una speranza che non può essere tradita.
Angosce che dopo l’approvazione del decreto legge n. 44/2021, il cui disegno di legge di conversione è in discussione in Parlamento, sembrano essersi accresciute, complici i timori che una non giusta interpretazione normativa possa condurre le amministrazioni a consentire l’accesso alle prove concorsuali (scritte e/o orali) previa scrematura per titoli, privilegiando dunque più l’esperienza acquisita che gli studi e la competizione concorsuale in sé.
La questione non è di poco conto e credo vada affrontata partendo da un presupposto chiaro, più volte ribadito, anche nei mesi scorsi, da personalità di assoluto rilievo: la Costituzione, all’articolo 97, individua una regola chiara per l’assunzione dei pubblici dipendenti. Si tratta del concorso, ossia di quello strumento che si sostanzia in una competizione aperta a tutti e finalizzata alla selezione dei migliori, dei più capaci e competenti. Uno strumento che non può non articolarsi in prove davvero meritocratiche, nelle quali ciascuno possa dimostrare il proprio valore, e che certamente deve riservare alla valutazione delle esperienze professionali un posto, ma a fine competizione e non ex ante.
Allo stesso modo, va evitato un altro eccesso: senza una regolamentazione che sia in grado di circoscrivere e contestualizzare i «titoli legalmente riconosciuti» si corre il rischio di prestare il fianco a operazioni di mercificazione di titoli culturali, ad unico detrimento dei meno abbienti. Una «gara» che, spero Lei condivida, va oggi ridisegnata, per consentire una riduzione dei tempi, grazie agli strumenti offerti dall’innovazione digitale, per lo svolgimento delle prove.
Sono questi i principi che, nel 2020, mi hanno portata, come Ministra dell’istruzione, a bandire procedure concorsuali per circa 78.000 posti per l’assunzione di docenti a tempo indeterminato. Una di queste, per 32.000 posti, Ministro, è stata dedicata proprio ai cosiddetti «precari» con più di trentasei mesi di servizio, che hanno potuto cimentarsi in una prova scritta integralmente digitalizzata. Conclusa un paio di mesi fa, hanno affrontato la prova scritta 56.101 candidati, pari all’84,9% di quelli previsti. I vincitori potranno essere assunti già dal 1° settembre. Per lo svolgimento della procedura sono state utilizzate 5.832 aule dotate di dispositivi digitali, pari a una media di 9,6 candidati per aula, secondo uno specifico protocollo di sicurezza validato dal CTS. Tutto svolto in 13 giorni, senza carta e penna, senza meccanismi pletorici e superati dai tempi.
Vanno oggi espletate le prove dei concorsi ordinari, aperti a tutti, evitando però le conseguenze che potrebbero avere le erronee interpretazioni cui prima ho fatto cenno (anche considerato che l’età media dei docenti italiani è pari a 46,3 anni, al 13° posto nella classifica dei paesi, con un dato pari a quello della Germania e superiore a quello della Spagna, 46, della Francia, 44, e comunque della media europea, 45,6).
Secondo la distribuzione delle domande pervenute per fasce di età, per il concorso ordinario per il reclutamento di 33.000 docenti per la scuola secondaria di primo e secondo grado, 131.040 candidati hanno meno di 30 anni, 168.857 dai 31 ai 40 anni, 103.804 dai 41 ai 50 anni, 26.884 oltre i 50 anni. In sostanza, il 30,4% dei candidati ha fino a 30 anni e il 69,6% fino a 40.
Prendendo con riferimento la tabella di valutazione dei titoli (culturali e di servizio) allegata al bando, che pure è stata frutto di un lavoro finalizzato a valorizzare il merito e i titoli di studio (ad es. il dottorato di ricerca), evitando la proliferazione e l’abuso di certificazioni variegate, considerato che dei titoli valutabili si attribuiscono 0,5 punti per ciascun anno di servizio, e la valutazione complessiva dei titoli previsti non può eccedere i venti punti e, qualora superiore, è ricondotta a tale limite massimo, accade che un candidato con 20 anni di esperienza acquisisca già la metà dei punti disponibili.
Cosa succederebbe, allora, se la valutazione dei titoli, culturali e di servizio, diventasse la regola per l’accesso alle successive fasi concorsuali o, peggio ancora, per l’accesso al ruolo di docente a tempo indeterminato?
Sulla base dei dati della già richiamata European Union Labour Force Survey sulla situazione italiana, a partire dai dati dell’esperienza di servizio rilevabili per le fasce di età del concorso, si può calcolare un indicatore che attribuisce 0,5 punti per anno di esperienza per la popolazione dei laureati, al quale sono stati aggiunti 5 punti relativi al possesso di dottorato (dato disponibile), volendo contemperare la possibilità del possesso di uno dei più alti titoli di studio del nostro ordinamento. Si è determinato in tal modo un indicatore che consente di suddividere la popolazione di partenza in due classi, identificando la soglia significativa dei 10 punti (valore che si può ipotizzare discrimini molto, costituendo la metà del punteggio complessivo, che per l’anzianità di servizio rappresenterebbe i 20 anni).
Ecco infine come si chiude la lettera dell’ex. Ministra Azzolina, inviata al Corriere della Sera e pubblicata oggi nell’edizione odierna del quotidiano.
Applicando i risultati di queste elaborazioni alle istanze pervenute, si arriva alla situazione di «semisbarramento» quasi esauriente (si giunge a 32.405 posti dei 33.000 disponibili), con candidati che già dispongono di 10 punti sui 20 disponibili. Un dato che porta a selezionare un numero quasi irrilevante di istanze di candidati con meno di 30 anni, 324 delle 131.040, pari all’1% del totale delle istanze, laddove per converso si troverebbero in una posizione di notevole vantaggio le classi di età più mature, oltre 40 anni di età, delle quali quello con almeno 10 punti in partenza costituirebbero addirittura il 94,6% del totale delle domande pervenute.
Risultati analoghi si otterrebbero con riferimento alla procedura per il reclutamento dei docenti di scuola dell’infanzia e della scuola primaria, ovvero se non alla esclusione, alla forte riduzione di possibilità di partecipazione con successo della classe dei più giovani.